La bambola nell'arte e nella moda
Prima che la produzione in serie la rendesse giocattolo popolare, la bambola, per il suo alto prezzo, che in qualche caso superava addirittura la paga di un mese di un operaio, era rimasta privilegio esclusivo delle famiglie abbienti.
Vero è che essa era acquistata per farne dono alle fanciulle nelle particolari occasioni della prima comunione, della cresima o di una superata malattia, nonché nelle ricorrenze liete del compleanno o dell'onomastico, ma non doveva essere sciupata, considerata, com'era, dalle famiglie che avevano la possibilità di comprarla, la dimostrazione di uno stato di benessere e, perciò, elemento di prestigio da tenere bene in mostra.
Quando, infatti, l'ospite, rivolgendo la sua attenzione alla piccola di casa, le domandava se giocasse a far da mammina alla bambola, pettinandola, vestendola e rimboccandole il lenzuolo, la sera, dopo averla messa a dormire..., la risposta che invariabilmente sentiva darsi, in tono meravigliato, era: "Mais Monsieur en la regardant je joue déjà!".
Storia, cronache e biografie ci fanno sapere che la bambola, a prescindere dalla sua precipua funzione di giocattolo, oltre ad essere in sé stessa un'opera d'arte, in quanto modellata da artisti, nel tempo è stata anche oggetto ausiliario di primo piano per scultori e pittori nelle loro creazioni, come ancora oggi, del resto, nella sua stilizzazione, il manichino di legno.
Albercht Dürer (1471-1528), per esempio, pittore e cesellatore tedesco, utilizzava le bambole come
modelle: un pregevole esemplare che gli appartenne trovasi in un museo di Vienna.
Il diplomatico francese André Filiben, dopo aver visitato l'atelier del pittore Nicolas Poussin (1594-1655),
scrisse di aver trovato il maestro intento a scegliere, per la composizione di un gruppo di persone in un suo quadro, alcune poupées, tra quelle in abiti elegantissimi ed altre
svestite, che egli teneva in bella mostra su un tavolo.
François Boucher (1703-1770), pittore di corte a Parigi, trasse lauti guadagni dalle bambole, perché, oltre a servirsene per i suoi quadri, riscuoteva non meno di 1000 franchi per ogni esemplare di esse che dipingeva su commissione degli aristocratici, che tenevano, per potersene vantare, alle sue prestazioni artistiche.
Anche Giblet, nel 1921, creò bambole alla Gaugin, che fecero la sua fortuna; mentre sembra che
il pittore austriaco Oskar Kokoschka (1886-1980) abbia fatto della bambola che adoperava per le pose la sua compagna inseparabile, tanto da portarla con sé anche a teatro.
Ma la poupée più
straordinaria del secolo rimane quella creata dal disegnatore surrealista (esploratore del filone erotico) Hans Bellmer (1902-1975). Non si sa dove questa sia finita, ma le fotografie ad essa fatte
dallo stesso artista, che la usava come modella, sono oggi presenti in quasi tutti i musei del mondo.
Superfluo, poi, accennare come anche il manichino di legno sia stato il soggetto ispiratore del pittore Giorgio De Chirico (1888-1970) nella creazione di alcuni suoi capolavori.
Seppure saltuariamente, fino all'Ottocento, epoca in cui ne assunse il ruolo specifico, le bambole svolse il compito di "messaggera di moda", motivo per cui essa può essere considerata, in certo qual modo, protagonista nella storia dell'abbigliamento.
Risalendo nel
tempo, infatti, si viene a sapere che nel 1398 Isabella di Baviera, moglie del re di Francia Enrico VI, pagò la somma di 450 franchi al sarto di corte De Varennes, perché allestisse un ricco corredo
di abiti ad una bambola, da lei destinata a Isabella di Francia, divenuta allora regina d'Inghilterra, allo scopo di fornirle nuovi modelli per il suo abbigliamento.
Così Maria Antonietta di Lorena, moglie di Luigi XVI, faceva vestire all'ultima moda, dalla sua coûturière preferita, le bambole che lei inviava alla madre, Maria Teresa d'Austria, perché anche la
corte di Vienna adottasse tempestivamente la voga di Parigi.
Ogni anno, poi, a Venezia, in piazza San Marco, in occasione della "Fiera della Sensa", che durava due settimane, nel periodo dell'Ascensione, venivano esposte le cosiddette "Pievole di Franza",
bambole vestite all'ultima moda parigina, per mostrare alle dame le novità, in materia di abbigliamento. Esse, finita la fiera, previo pagamento di una certa somma, venivano temporaneamente cedute ai
sarti, che se ne servivano come modelli per la confezione degli abiti delle Signore. Una volta superate dai nuovi arrivi, queste bambole erano vendute come giocattoli.
Nell'Ottocento le case di moda francesi, trovato comodo servirsi delle bambole per far conoscere i modelli che annualmente creavano, incentivarono le fabbriche nella produzione, per loro conto, di esemplari di determinate proporzioni, non più dall'aspetto di bambine, ma di dame, che chiamarono "poupées de mode" o "poupées mannequin". Interamente abbigliate, dalla biancheria intima ai posticci, alle sottovesti, agli abiti, esse venivano spedite, in bauli ricolmi dei più eleganti abiti e cappellini, confezionati a la mode da sarte e modiste specializzate, alle sartorie più rinomate della Spagna, Inghilterra, Italia, Germania ed America.
Grande cura era riposta nella spedizione di queste vedettes che, in certi casi,
per accelerarne il viaggio, furono munite di passaporto, quasi che si trattasse di persone.
Le "ambasciatrici di chic parisien", che resero eleganti e felici innumerevoli donne in tutto il mondo..., che costituirono fonte di guadagno per una numerosa categoria di artigiani, i quali
vivevano di esse, tramontarono sul finire del secolo, detronizzate dalle riviste di moda.
Franco Borga - Aprile 1986