La Bambola dall'antico Egitto ai giorni nostri

Non è possibile stabilire quando, nella storia dell'uomo, la bambola abbia incominciato ad essere oggetto di trastullo per i bambini. Ne è stato trovato, infatti, un esemplare con testa lignea e corpo di stoffa, anche in una tomba dell'antico Egitto, presso il sarcofago di una fanciulla.
Tale reperto aveva fatto pensare, in un primo tempo, ad un idolo adorato dalla giovinetta nella sua
vita terrena o ad un talismano da lei posseduto. Attenti studi, però, hanno potuto stabilire in seguito che mentre gl'idoli e i talismani appartenuti al defunto venivano inseriti tra le bende
dell'imbalsamazione, perché continuassero a proteggerne il corpo, tutti gli oggetti che erano stati a lui cari (compresi gli utensili di lavoro, se si trattava di un adulto) venivano collocati nella
stanza funeraria, presso il sarcofago, affinché lo spirito del trapassato potesse continuare a servirsene anche nell'oltretomba fino alla sua rincarnazione.
Pure in Grecia, in alcune tombe risalenti al V secolo a. C., sono stati rinvenuti pupazzetti in terracotta, qualcuno dei quali rozzamente articolato. Nella Roma precristiana la bambola, trastullo
della fanciullezza, assumeva un ruolo importante per le ragazze che si sposavano: alla vigilia delle nozze, con un particolare rito, essa veniva dedicata ad una dea, a propiziarsela, dato che il
matrimonio, nel segnare la cessazione del tempo dei balocchi, conferiva precipui compiti di responsabilità. Dalle antiche tombe romane gli scavi hanno riportato alla luce bambole di legno, di osso e
di avorio.
Celebre, tra esse, "La Crepareia", così denominata perché rinvenuta, assieme con preziosi monili, nel
sarcofago della giovinetta Crepareia Tryphaena, morta nel secondo secolo dell'Era Volgare. Trattasi di una figurina alta 23 centimetri, con testa e busto ricavati da un unico pezzo di avorio, con
gambe e braccia articolate, anch'esse di avorio intagliato. Nell'antichità seppellire una bambola accanto al cadavere di una giovane significava che questa era morta vergine.Per quanto riguarda la
presenza della bambola nell'Alto Medioevo nulla si sa, non essendo a noi pervenuto alcun esemplare dell'epoca; forse perché fatte soltanto di stoffa non hanno resistito al tempo.Nel 1300, invece, le
bambole di legno, di stoffa, di cera eran ovunque diffuse, come testimoniano i documenti storici relativi alle fiere annuali di Firenze, di Venezia e delle maggiori città d'Europa. Di questo periodo
ne sono stati trovati esemplari anche di argilla sia a Norimberga che a Strasburgo.
Della bambola nel Rinascimento, indipendentemente dai numerosi riferimenti letterari, rimane una vasta iconografia lasciata dai pittori che, facendo il ritratto alle figliolette dei nobili e dei
ricchi, sia in gruppo con la famiglia, sia isolatamente, non trascuravano di effigiarle con l'oggetto a loro caro. All'epoca le bambole più comuni erano interamente di legno, mentre le più costose
avevano testa, braccia e gambe di legno dipinto e corpo di stoffa o di pelle imbottito di crusca o segatura, sfarzosamente vestite.
Già nel 1413 rinomati erano i fabbricanti di bambole tedeschi, detti dockenmachers, i quali fecero fortuna esportando le loro creazioni in tutta l'Europa. Ad essi, però, si contrapponevano gli artigiani bambolai francesi, olandesi e inglesi, i quali cercavano di arginarne la concorrenza con prodotti sempre più elaborati ed artistici.
In un documento francese del 1540 è fatto cenno che da tempo le bambole venivano fatte con impasto di terra, carta e gesso, mentre dagli scritti dell'epoca si apprende che Anna di Bretagna, che amava collezionare bambole, nel 1494 pagò un prezzo esorbitante per una poupée da regalare alla regina di Spagna e che, non soddisfatta della confezione dei numerosi vestitini a corredo, li fece rifare per ben due volte.
Parimente si viene a conoscenza che l'imperatore Carlo V pagava dieci franchi l'una le bambole di produzione parigina da regalare alla figlioletta ed alle dame alle quali ella era affidata, e che Enrico IV, per ingraziarsi l'amore di Maria de' Medici, sua futura moglie, le inviava da Parigi bambole costosissime, vestite di pregiati broccati.
Nel 1600 dai Paesi del Nord-Europa si diffonde in tutto il continente l'uso di dotare le bambole di una propria casa. Le "case di bambole" erano fedelissime riproduzioni delle abitazioni dell'epoca, proporzionate alla statura delle bambole e arredate di suppellettili e stoviglie conformi ai modelli allora usati nella vita quotidiana.
Nel secolo successivo questi oggetti di arredamento furono messi in commercio anche separatamente, per dare la possibilità a chi non aveva mezzi o spazio sufficienti per dare una "casa" alla bambola, di crearle almeno un angolino-ambiente dove collocarla. Furono, così, messi in vendita lettini, divanetti, piccoli armadi e comò per gli abitini e la biancheria spesso ricamata, tavolini e sedioline, fornelli con le relative batterie da cucina, nonché servizi da toeletta e da té, bicchierini, bottigliette, caraffe e portaprofumi in porcellana o in vetro inciso decorato a smalto: tutti, mobilini ed oggetti, in miniatura, che documentano fedelmente gli stili dell'epoca.
Dal 1600 agli inizi del 1800 ebbero largo successo in Europa i cosiddetti "Pupi di Fiandra", o
bambole olandesi, in legno dipinto, con testa rotonda, naso appuntito, guance molto colorate, capelli neri, corpo longilineo e articolato. Una produzione analoga a quella olandese, nel medesimo
periodo, si ebbe nel Tirolo, da dove, però, molti intagliatori di bambole in legno emigrarono in Germania, in parte, perché protestanti, per sottrarsi ai rigori della Controriforma, in parte perché
allettati dalla prospettiva di lauti guadagni a Norimberga ed a Sonneberg, "le capitali dei balocchi" per antonomasia.
In queste due città, in concorrenza tra loro, le grandi ditte produttrici di bambole, consociatesi nel 1700 ed entrate a far parte della corporazione dei fabbricanti e commercianti, avevano dato
l'avvio ad una monopolizzazione che, praticamente, aveva distrutto l'artigianato del settore.
Esse, infatti, per aumentare i loro profitti, facevano eseguire a cottimo, da lavoranti nei rispettivi domicili, una sola parte della bambola, in modo che, specializzandoli nella produzione di essa,
ne migliorassero la fattura, vincolandoli, inoltre, ad una resa quantitativamente maggiore, se avessero voluto guadagnare di più. Si dice che nell'ultimo scorcio del 1700 nella sola Sonneberg si
contassero più di mille centri di produzione di parti separate di bambole.
L'artigiano, perciò, che prima produceva da solo, e per intero, le bambole che gli venivano ordinate, non potendo sostenere la competitività dei prezzi correnti e non essendo, per altro, protetto dalla corporazione, fu costretto a lavorare in fabbrica, dove, oltre a subire una forte riduzione dei suoi guadagni ed essere esposto a pene severissime se sorpreso ad allestire anche una sola bambola in proprio, andò incontro alla completa perdita del mestiere.
I manufatti prodotti all'esterno dai cottimisti, affluendo nelle fabbriche, venivano distribuiti, per tipo, ai vari reparti, attraverso i quali, con progressivo assemblaggio delle parti, i maestri bambolai provvedevano alla completa confezione delle bambole: primo esempio, nella storia dell'industria, di lavorazione a catena per la produzione in serie.
Le bambole prodotte dalle fabbriche venivano fornite ai locali commercianti autorizzati (a Sonneberg, nel 1789, erano soltanto in 26 ad avere, per concessione del duca Georg, il privilegio della licenza). Questi ne curavano la vendita e l'esportazione, conquistando, con prezzi sempre più competitivi, nuovi mercati.
Se nel 1700 la produzione della bambola aveva dato origine in Germania ad una fiorente industria, nelle grandi città d'Italia, Austria e Spagna, ancora agli inizi del 1800 essa aveva continuato ad alimentare un artigianato che, legato alla tradizionale lavorazione, le allestiva in legno, cartapesta e cera, e solo su ordinazione.
In Francia, invece, questo giocattolo aveva suggerito agli artigiani nuovi criteri di produzione: non attendere più le singole richieste da parte di privati o di negozi, ma procedere all'approntamento di una larga quantità standardizzata di bambole che, per originalità di creazione, aspetto estetico e ricercatezza di lavorazione, potesse costituire non solo un allettante oggetto da possedere, ma, nel prezzo contenuto, anche una positiva concorrenza nei confronti delle fabbriche tedesche. Da qui l'immissione in gran numero sul mercato della "Grande Pandore", una damina in lussuosa toilette, e la "Petite Pandore", in déshabillé galant, coperta, cioè, di finissima lingerie, e la conseguente moda di possederle entrambe. È questa la prima radice da cui in Francia sbocceranno quelle fabbriche di bambole che nei primi decenni del secolo si moltiplicheranno con sviluppo sorprendente e che, con l'avvento delle teste in porcellana, toglieranno il primato alla produzione tedesca.
Nel 1847 nella sola Parigi si contavano ben 370 fabbriche
di poupées, tutte floride, dato il forte divario fra il prezzo di vendita del prodotto e il costo della mano d'opera: per una giornata lavorativa di 14 ore un operaio percepiva una paga di 3,30
franchi, mentre un'operaia soltanto di 1,60.
Ad incrementare i propri guadagni le fabbriche facevano a gara nel produrre nuovi modelli, sempre più originali: la bambola che chiama "Mamma", che piange, che succhia il latte, che mostra la lingua,
che saluta, che manda baci, che cammina, che balla, e financo che nuota. Applicando, poi, ad esse congegni di mano in mano più complessi, le porteranno ad essere, alla fine del secolo, del tutto
automatizzate nel compiere una molteplicità di movimenti e di azioni.
Il primo a dare la voce alla bambola fu, verso il 1820, J. N. Mälzel, l'inventore del metronomo; ma i grandi risultati, in questo campo, si otterranno dopo il 1887, quando, semplificando al massimo i meccanismi del grammofono inventato da Edison, si riuscirà a far fare alla bambola brevi discorsetti, a farle recitare poesiole, a farle cantare canzoncine.
Anche per gli occhi delle bambole vi è tutta un'evoluzione. Questi, che dapprima erano soltanto dipinti, poi fatti con palline di cera colorate e, nel tardo Settecento, di vetro soffiato e smaltato, nell'Ottocento divengono iridati, acquistando espressione più naturale. A realizzarli, con sottilissime fibre di vetro, è il tedesco Muller-Uri, fabbricante in Turingia di occhi artificiali per medici ed ospedali. A richiesta dei fabbricanti egli produce occhi di bambole, di varia grandezza, con la tecnica dei paperweight, dei fermacarte, cioè, in vetro soffiato. Da un suo catalogo del 1838 si apprende che il prezzo degli occhi per bambole, per ordinazioni non inferiori al centinaio, era di marchi 0,65 per quelli neri, o comunque scuri, e di 2,30 per quelli blu.
Al perfezionamento degli occhi si accompagna anche quello delle ciglia e delle sopracciglia, che da dipinte in passato, divengono più realistiche con l'utilizzazione di fibre vegetali, prima, e di peli di animali, dopo, applicati ad uno ad uno, come nelle teste in cera piena delle produzioni "Montanari" di Londra, mentre per i capelli si ricorre a quelli veri, montati a parrucca.
Di pari passo con questi accorgimenti, la produzione sia delle bambole, sia degli oggetti di fantasia che le contornano, si avvale, su scala internazionale, di un nuovo prodotto: la "composizione", un impasto di carta macerata, colla, segatura e gesso, che consente la perfetta modellatura anche dei minimi particolari, specialmente nelle teste che, ricoperte di un sottile strato di cera, assumono un colorito incarnato quasi naturale, e fanno epoca fino a quando non vengono sostituite da quelle in ceramica.
Ritrovato della manifattura tedesca di stoviglie, la testa in
porcellana conferisce alla bambola una finezza di lineamenti ed una bellezza che prima non aveva. Essa, perciò, ha una immediata e larga applicazione sia presso le fabbriche di bambole nazionali, sia
presso quelle estere. E poiché sarebbe stato assai dispendioso, per queste, provvedere in proprio al relativo fabbisogno, si viene a determinare una massiccia richiesta di fornitura, per sopperire
alla quale sorgono presto manifatture specializzate a Meisen, Berlino, Hannover, Limbach, Vienna.
Molte di queste teste portano sulla nuca, sotto il taglio della calotta coperta dalla parrucca, soltanto il marchio della fabbrica che le ha prodotte; molte altre, invece, accanto ad esso, seguito
dai numeri di serie e della taglia, si trova anche quello del fabbricante che, fornendo il modello, ne ordinava la produzione in esclusiva.
Poiché le teste prodotte ed esportate dalle fabbriche tedesche costavano, in relazione alla grandezza, alla coloritura, al taglio ed alla qualità degli occhi, all'espressione del volto, dai 200 ai 600 marchi, anche le manifatture di porcellana di Sèvres, Limoges, Copenaghen e di altre città europee si dedicarono alla produzione di teste in questo nuovo materiale, diminuendo di molto il prezzo delle bambole di fabbricazione nazionale.
A togliere del tutto il primato alla Germania, in questo campo, saranno le manifatture francesi con la produzione di teste in bisquit, una porcellana più leggera, non più invetriata, che, eliminando la freddezza del lucido, nella sua tenue porosità, conferisce al volto un aspetto più morbido e di più realistico calore.
Presto le teste di bambole in bisquit vengono prodotte anche in Germania, dove, per bellezza e finezza di lavorazione, in concorrenza con il parigino Emile Jumeau, eccelle il fabbricante Armand Marseille di Sonneberg.
Realizzate, inizialmente, a bocca chiusa, le teste di porcellana e di bisquit, nell'incessante ricerca di migliorarne sempre più l'aspetto, furono fatte in seguito a bocca socchiusa, in modo da fare intravedere i dentini.
Così perfezionata, la bambola entrò a far parte dei prodotti meritevoli di occupare un posto di rilievo nelle principali Fiere Industriali Internazionali e nelle Esposizioni Universali, nelle quali primeggiò invariabilmente la "Maison Jumeau" di Parigi.

Nel 1845 François Greffier, fabbricante di Nantes, presenta all'Esposizione Universale la sua creazione del bébé, una bambola con il corpo non più di adulto, come sino allora era avvenuto, bensì di bambino. Da quel momento con tale denominazione verranno indicate tutte le bambole con questa caratteristica, la cui produzione verrà largamente effettuata, con successo, dai grandi industriali di tutte le nazioni.
Attorno al 1870, ancora in Francia, si ha la creazione di bambole e bambolotti con fattezze esotiche. Incomincia, così la produzione in larga scala di cinesine, giapponesine, mulatte, negre, creole, accuratamente abbigliate con i costumi dei rispettivi paesi, diffondendo in tutto il mondo la moda delle "Belle straniere". Alle numerose fabbriche della Turingia non rimane, in merito, che imitare il più possibile i modelli francesi, senza, per altro, riuscire ad eguagliarli, e vendere le loro imitazioni, per contenere la concorrenza, a prezzi più bassi, resi possibili dal fatto che per la relativa produzione si avvalgono anche della mano d'opera di bambini, sfruttati con paghe di fame. Naturalmente nel corso dell'Ottocento si sono avute contemporaneamente le più svariate produzioni: dalle bambole, rigide e articolate, tutte in legno, in cera, in cartapesta, in composizione, in porcellana, in bisquit, a quelle con la sola testa in una di queste materie, con occhi dipinti o in vetro, fissi o mobili, e il corpo in pelle o stoffa imbottito di crusca o segatura, e con capelli dipinti o con parrucche.
Nel 1909 il fabbricante tedesco Franz Reinhardt presenta all'Esposizione di Berlino una bambola con il corpo di neonato: una novità che dà l'avvio alla produzione della numerosa serie di "bébés de caractère", così denominati per le varie espressioni date al visetto: maliziosa, ridente, imbronciata, piangente ed anche dispettosa nel mostrare la lingua, con teste intercambiabili. Il successo è strepitoso; e questa volta sono i fabbricanti francesi ad imitare quelli tedeschi ed a portare sul mercato le più belle realizzazioni, specialmente ad opera della già costituita Société Française de Bébés et Jouets - S.F.B.J." di Parigi.
Circa un decennio dopo tale successo sarà la bambola "Lenci", di produzione italiana, a conquistare il primato nel mondo. Trattasi di una creazione artistica, tutta in panno pressato, che, considerata, anche per il prezzo molto elevato, un prestigioso oggetto da regalo, desta nelle donne di qualsiasi età, anche se non collezioniste, il desiderio, o la gioia, di possederne una.
E' verso il 1930 che una nuova materia rivoluziona, in campo mondiale, la produzione della bambola, rendendola popolare per il suo basso prezzo di vendita: la celluloide, un composto ricavato dalla plastificazione della nitrocellulosa con la canfora, molto malleabile a caldo, che bene si presta allo stampaggio di tutte le parti della bambola, dalla testa, con capelli in lieve rilievo dipinti, alle braccia, alle gambe perfettamente modellate. Con essa oltre a nuovi modelli di bambole, vengono riprodotti, in gran parte, quelli già esistenti in ogni altra materia.
La celluloide terrà incontrastata il campo fino all'avvento della "plastica" e la conseguente nascita di "Barbie", la più celebrata e diffusa delle bambole moderne.
Franco Borga - Aprile 1986